lunedì 3 settembre 2012

Una storia fighissima che ho preso da un libro che ho letto

C'era uno che conosceva una mossa che se te la dava muori. Un giorno ha incontrato 'n altro che invece conosceva una mossa che se te la dà dopo anche meno di tre giorni vivevi. Questo aveva un nome che dalle mie parti nessuno si fa chiamare così. Comunque, oltre al fatto di conoscere una mossa che se te la dava dopo anche meno di tre giorni vivevi, tirava pietre alla gente perché lui era l'unico che poteva. Tipo una volta che c'era un sacco di gente che voleva tirare pietre addosso a una lui, però, è arrivato e ha detto che potevano solo se erano come lui perché solo lui poteva [1]. Adesso non mi ricordo lui dove stava, perché non stava mai a casa. Praticamente conosceva un sacco di persone che l'invitavano spesso perché tipo girava, vedeva gente, si muoveva, faceva delle cose insomma. Comunque dovevo spiegarvi che questo che conosceva la mossa che se te la dava dopo muori una volta ha incontrato questo che invece ti fa vivere. Ma tipo non è che l'ha incontrato per strada così o è andato a casa sua, perché, come dicevo, lui non stava tanto a casa e poi stando sempre da altri che stavano distanti non lo beccavi neanche tanto per strada. C'è stata 'sta volta che quello che ti faceva vivere se ti dà la mossa è sceso [2] a casa di questo, e l'ha combattuto. Non so cosa si siano detti o cosa abbia detto l'altro che stava a casa, perché non c'è scritto sul libro che ho letto, però insomma mi immagino che si sia anche incazzato. Ora però mi ricordo che nel libro c'era scritto che in realtà era colpa di quello che se ti dà la mossa morivi se l'altro doveva andare a combatterlo. Comunque quello che se ti dà la mossa vivevi c'era andato a casa dell'altro che era morto, perché l'avevano ucciso. Non ho capito perché l'avevano ucciso, anche perché insomma conosceva una sacco di gente che l'invitava perché girava e faceva delle cose che andavano bene. Ma tipo aveva fatto incazzare della gente, magari perché appunto andava a combattere le persone a casa loro non so, che comunque era potente non più di lui, ma lì invece sì perché casa sua non era lì e lì, invece, erano loro che comandavano su tutti. Ma vi spiegavo che questo era andato a casa di quello che se ti dava la mossa muori, e però non c'è neanche scritto come hanno combattuto. Ma però lui ha vinto e siccome era morto si è dato la mossa da solo e dopo tre giorni è vissuto. Una volta fatta 'sta roba però la gente non ci credeva che poteva darsi la mossa da solo, anche perché insomma se sei morto uno pensa che non puoi, però è anche vero che lui poteva tirare le pietre alla gente che invece gli altri non potevano, quindi si spiega perché lui ha potuto darsi la mossa da solo. Comunque delle tipe che lo conoscevano erano andate alla sua tomba, ma non l'avevano trovato. Così erano tornate dagli altri e loro non ci credevano perché ve l'ho spiegato prima. Però queste, probabilmente, hanno fatto lo stesso ragionamento mio e ci credevano che era vissuto di nuovo e così erano contente. Gli altri però no, così lui è andato a trovarli in casa, ma non per combatterli, ma per dire che stava bene e che però doveva tornare a casa e che raccontassero la storia che lui ha combattuto quello che ti dava il colpo e muori e ha vinto, e così l'ho voluta raccontare anch'io. Poi alla fine è salito al cielo da solo e non l'ha più visto nessuno.

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NOTE

[1] Vi giuro, sta tutto scritto sul libro che ho letto.
[2] Sì perché quello che ti dava la mossa e muori stava tipo in un posto giù da basso e bisogna scendere per arrivarci tipo. C'è scritto proprio nel libro che vi dicevo che è sceso.


 

lunedì 20 agosto 2012

Mi hanno bucato la testa e non sono morto

Sono in sala d'attesa. Le mie culatte sono ben piantate su una seggiola nera di plasticazza, fondamentale per raggiungere il massimo risultato con la minima spesa. La schiena s’appoggia e percepisce ovattamente la superficie rugosa del pioggiaschena. Ovattamente. Indosso una maglietta grigia Reebok e una camicia definita dai miei amici adatta per lavorare nel Kent. Me ne frego.
Sono nello Studio medici associati Pyros. Il fuoco ha proprietà mediche secondo la medicina antica. Auguri. Sulla porta del mio medico curante c’è un foglio attaccato collo scotch. 
Gli uomini chiedono la salute agli dèi con le preghiere,
ma non sanno di avere in se stessi la capacità di essere sani.
Democrito
«Che ci stai a fare allora?», mi viene da pensare. Io sostengo l’idea che il fatto che esista la medicina sia già per i medici una sconfitta. Stessa cosa penso dei sindacati e della politica. Della giustizia meno, gli avvocati son macchine da soldi e tali restano.
Tengo il collo dritto a causa della mia botta cervicale. Fianco a me sta un cinquantenne ingobbito sul tavolino. Legge, o meglio guarda, una rivista a caso. Io mi sono portato l'imprestatomi Cane mangia cane di Eddie B., ma non voglio leggere. Sicuramente ho troppo poco tempo, poi dovrei portarmelo dentro e appoggiarlo alla scrivania di doc. Democrito. Per rilassarmi mi chiederebbe di chi è, di che parla, di cosa mi piace, e sono già abbastanza rilassato da diventare uno zerbino, non voglio passare al livello aminoacido. Il libro me lo sono comunque portato, sì, ma è rimasto in macchina.
Tamburello sulle cosce. Il silenzio impera in questo deprimente edificio annizzero. Mi canto in testa una canzone. Una canzone qualsiasi. La luce è spenta. Sono solo le cinque e venticinque, ma fuori il tempo minaccia tempesta dalla mattina. Il cielo grigio drum farebbe deprimere persino uno scout, e se quei pochi sputi di luce vengono anche filtrati da tendine bucherellate, be' è la morte dei sensi.
S'apre la porta di scatto. Doc. Democrito esce la testa con fare indaffarato. Mi fa cenno di entrare. Io mi alzo di scatto, incurante della mia dorsale (massì, chissene). In realtà sto di merda, anche se la cervicale c'entra fino a una certa. Ma la nausea e lo strippo quando si cammina non m'aiutano.
– Ti vedo bene! – sentenzia Doc col suo angosciante accento greco.
– Una meraviglia! – gli rispondo da coglione.
– Sei pronto?
– Sono qui per questo... – e qui mi mancava una cicca in bocca con espiro.
Doc mi guarda con aria di sfida. Io lo imbruttisco. Poi si volta a prendere diverse scatole. Scatole piccole di cartoncino sottile, bianche con scritte verdi. Comincia a tirar fuori delle fiale, un po' alla volta, e le distribuisce in fila sul tavolo. Chiaramente non in ordine di grandezza.
– Ti saranno iniettate diverse soluzioni nei punti di agopuntura – mi spiega con tono medico.
– Sono antidolorifici?
– Antispastici, antinausea... antitutto insomma. Un cocktail di rimiedi. 
L'unica cosa che riesco a pensare e che preferirei una sola iniezione di un qualsiasi antidepressivo, ma dubito sia compresa nel pacchetto. Doc si volta una seconda volta per frugare in un cassetto. Cassetto è un eufemismo, una scatola di plasticone IKEA infilata in un mobiletto. Da lì tira fuori un'orribile bustina. La apre. Due guanti piegati, dov'è ben intesa la differenza tra destra e sinistra, si mostrano in tutta la loro inespressività. Intanto una seconda bustina compare sulla scrivania. È una siringa. 
– Non preoccuparti, non sarà quest'ago – mi rassicura ridacchiando.
Il buho è buho. Penso da maledetto pisano.
Cambiato l'ago, comincia il divertimento. Le boccette si spezzano una a una mentre, sempre da medico, doc. Democrito impila il contenuto dentro la siringa.
– Ora togliti le scarpe, e i calzini, e stenditi sul lettino…
Lo guardo con aria idiota finché lui mi dice che: – Sì, sembra strano, ma va così.
Vabbe'.
Eseguo gli ordini mentre Doc, con occhi che potrei dire di macabra cupidigia, si accinge a infilzarmi il tallone. Poi l'altro.
Da me nessuna reazione, tranne nella mia testa, la quale è intenta e bastonare un maiale urlante.
– Bene, ora togliti la maglietta e mettiti a pancia in giù.
Obbedisco.
– È meglio se ti sleghi i capelli, poi li puoi legare di nuovo.
Già.
La siringa prende una direzione strana, seppur non posso vederla. Mi si va a infilare dritta in mezzo al collo. Un buco enorme nel centro. Roba alla Matrix: sono dentro.

– Bene Maggi, – mi dicono dall’auricolare – raggiungi l'edificio in fondo alla via. Dovresti trovarlo lì dentro.
Metto giù.
La strada è silenziosa, non passa un cane. Sento distintamente le pieghe dei pantaloni che si strusciano una coll'altra ad ogni passo. Secchi. Regolari.
Ogni tanto, quando passo di fronte a una vetrina, mi ci specchio per vedere se sto a posto.
Capelli tirati indietro con un chilo di brillantina. Pizzetto ben curato. Spolverino lungo nero. Pantaloni neri. Un paio di scarpe eleganti nere. Occhiali da sole neri. E in tasca un euro e ottanta centesimi. Sì, sono il più duro di tutti figli di puttana della Matrice.
Afferro la maniglia del portone e spingo. Non s'apre. C'è scritto tirare. Tiro. S'apre.
Un insulso corridoio. Di fronte una porta a vetri dà su un giardinetto zen interno. A destra una rampa di scale.
– Dovrebbe essere all'ultimo piano…
– Occhei, grazie Doc», rispondo di rimando.
Prendo le scale. La situazione è tranquilla. Non corro e mi perdo ad ascoltare i tacchi delle scarpe rimbombare sul marmo dei gradini. Passo il primo piano, il secondo, il terzo.
– Ehi!
– Cosa?
– Nono sono sicuro, sto leggendo una presenza estranea nell'edificio…
– C'è qualcun altro qui?!
– È solo un’interferenza, non so dirti bene ora…
– Può essere uno stronzo qualunque, no?
– Eh beh… sì.
– Eh beh cosa?
– Ecco, non è del tutto chiaro ma… non sembra una persona. 
– Eccheccazzo è? 
– Beh, lo vedrai… ora.
Alzo lo sguardo. Davanti a me. Il coglione che m'ha sfasciato l'auto la settimana prima. Il borghese che m'ha tamponato al semaforo e m'ha regalato una cervicale nuova. Il maledetto tizio con la BMW bianca che m'ha fatto venir fin qui.
Eppure non sembra lui, il suo sguardo sembra dipinto con sangue e sperma. Ha un ghigno troppo malvagio per essere un semplice cazzone della strada.
Tempo due secondi: mi caccia la lama.
«Porcoddio!» 
– Corri Maggi, corri!

Mi fiondo su per le scale.
– Ma che cazzo aspettavi a dirmelo?
– È comparso dal niente, non ne sapevo niente cazzo!
Faccio tutte le cose che mi hanno insegnato i film. Corro sui muri. Salto da una rampa all'altra. Ogni tanto mi fermo e PAM! gli sgancio un calcio sul muso, ma appena appena perde l’equilibrio.
– Dammi un'uscita Doc, porcaputtana!
– Ma prima devi prendere…
– Fanculo! Col cazzo che mi faccio ammazzare da questo coglione!
– Occhei, occhei… Un attimo…
– Ma un attimo cosa?!
– Non sono la fatina dei denti, occhei!
Sono troppo incazzato per continuare.
Passo il quinto piano.
Sesto.
Settimo.
Ottavo.
– Ecco Maggi. Vai al decimo. A destra trovi uno stanzone… L'uscita è lì.
Nono.
Decimo.
La porta a destra.
L'altro in culo.
Afferro la maniglia e spingo. 
Non s'apre. 
C'è scritto tirare.
Tiro. 
S'apre.
Mi sbatto sul telefono appoggiato su una scrivania.
Suona sì, suona cazzo!
Lo afferro.
Mi afferra. Lo stronzo m'ha preso!
Ci dimeniamo. Botte da orbi. Botte da Norris. Botte da Lee.
Siamo al di là della scrivania. Dietro di me, un finestrone, e giù quel cazzo di giardino zen di merda.
– Sai che sei tu? Sei un grandissimo figlio di puttanaaahahaa!
Alla terza modulazione il finestrone si sfascia.
All'aria.

– Bene, fatto.
Mi giro, e guardo il dottore.
– Rivestiti pure, ci vediamo… lunedì? Chiamami verso le cinque.
– Eh… occhei Doc. I soldi?
– Facciamo tutto alla fine. Buona serata!

Me ne vado. In sala d'attesa c'è ancora il tizio che sfoglia la rivista.
A me m'hanno bucato la testa e non son morto.

giovedì 9 agosto 2012

[Not found]

Musica a bassa pressione.
Il disco non gira
e la puntina 
non scalfisce
nessuna vibrazione.

lunedì 6 agosto 2012

Il sistema zuckerberghiano e sue implicazioni

Estratto da un idea di saggio collettivo mai pubblicato: AA. VV., Appunti per un dibattito di idealistica comparata.
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Dopo la grande svolta della timeline che, coerentemente alla filosofia idealistica, colloca gli eventi nel loro sviluppo temporale e non, com'era precedentemente, in semplici entità assolute dallo stesso, in Facebook viene introdotta la possibilità di modificare post e commenti. È così concepita l'idea che nulla che si manifesta nell'esperienza sensibile è eterno ed immutabile, bensì è il risultato di un processo che trova nel continuo rinnovarsi la propria essenza.
Esiste una spiegazione al riguardo? Una ragione per la quale il sig. Zuckerberg abbia invertito la rotta del suo sistema filosofico? Azzardare delle ipotesi è possibile.

Tanto per capirci. La visione escatologica del mondo, la quale prefigge un fine ultimo per l'uomo e la sua esperienza, e quindi un fine ultimo per l'utente e la sua esperienza sociale virtuale, fu rivalutata e difesa in epoca moderna dal più influente filosofo della fine del secolo XIX: Giorgino Hegel, al secolo Georg Wilhem Friedrich Hegel. Padre-padrone della filosofia idealistica, citata in origine. I principali eredi, come qui tutti sapranno, della scuola hegeliana furono i cosiddetti hegeliani di sinistra, tra i quali spiccò prometeicamente la più famosa barba della storia della filosofia. Il materialismo storico e dialettico, teorizzato appunto da Karl Marx, fu la prima, e per ora l'unica, a quanto pare, idea che seppe raccontare in maniera precisa ed ineccepibile, sebbene in soldoni, la farsa della storia.
Dallo scoppio della ancora galoppante crisi economico-finanziaria gli scritti del filosofo di Treviri stanno vivendo una renaissance. Se di rinascimento, dunque, vogliamo parlare, è necessario che l'oggetto di cui stiamo discutendo abbia vissuto prima un momento di crisi ed oblio. Appunto. Successivamente allo sfacelo del movimento operaio in Europa e all'implosione del blocco sovietico, decine e decine di intellettuali o presunti tali, prima acerrimi apologeti dell'Utopia, si decisero per un'inversione di rotta (come appunto il nostro Zuckerberg). Prendendo in mano il Per Lenin della Bausano e del Quadrelli a pagina 23 leggiamo: 
In tale contesto [quello poc'anzi descritto, n.d.a.] gran parte degli appartenenti al ceto intellettuale repentinamente convertitisi al ragno di "liberi pensatori" hanno modo di scatenarsi. Il proletariato e la classe operaia in quanto soggetti storici sono irrisi mentre gli attacchi al marxismo e la sua confutazione diventano il bersaglio quotidiano di filosofi vecchi e nuovi. [...] Più si è stati "estremisti" nei decenni precedenti, più l'abiura non deve lasciare dubbio. [1]
Intorno si vede sorgere | un mondo di cose nuove, | questa roba si spazza via [2], scriveva Meneghello. Ebbene è spiazzante come questi versi, scritti ben prima del periodo di cui stiamo parlando, racchiudano esattamente lo Zeitgeist di questi anni. Il tempo è venuto. L'occidente, la democrazia, il capitalismo hanno vinto. Chi ha lottato per questo ha avuto la sua ricompensa. Niente più lotta di classe, niente più terrorismo, niente più ideologie. La storia si è conclusa. Che ci resta ancora? Nulla
Eppure questo vuoto, questo no-di-ente, spaventa, no? Che fine faranno allora la politica, la poesia, la filosofia? Come sempre, l'ideologia dominante, si trova la risposta da sola.
Si assiste così alla riscoperta e alla rivalutazione di non pochi filosofi reazionari e fascisti. In particolare Nietzsche e Heidegger e questo non ha nulla di casuale. Soprattutto a essere oggetto di culto è quell'insieme di retoriche e argomentazioni dichiaratamente irrazionaliste che, in Europa, avevano imperversato nel momento in cui il "mondo di ieri" era caduto in frantumi. [3]
Ora, potremmo discutere per ore sul perché la Bausano e il Quadrelli considerino Nietzsche e Heidegger filosofi reazionari e fascisti [4], e anche sul perché non abbiano voluto mettere la virgola prima della subordinata introdotta da e. Ma non è questa la sede. Ciò che interessa è che qui sia caduto l'asino, e che si sia pure ammaccato gli zoccoli.
Quel baffone di Friedrich è famoso per le centinaia di aforismi raccolte più o meno ordinatamente nella sua opera. Diverse sue speculazioni hanno affrontato il tema dell'eterno ritorno, ovvero, in parche parole, l'idea che tutto sia eternamente ciclico e che si ripeta immutato tendenzialmente all'infinito. Da qui, a piè pari, si giunge alla conclusione che ogni momento vale per se stesso, in quanto sconnesso da un proprio sviluppo nel tempo. E questa è proprio la stessa Weltanschauung che permeava la scansione delle pubblicazioni nelle bacheche del social network di cui ci occupavamo, ovvero Facebook (per chi avesse perso il filo del discorso).

Dove siamo giunti, allora? Secondo la nostra speculazione, Facebook sarebbe specchio dello Spirito del tempo o, più in piccolo, del rinnovato interesse per il marxismo. Può esserci del vero. Tutti ricordiamo quanto sia stato ripetuto, più e più volte, dai soliti altermondisti il fatto che le rivolte arabe, sì quelle che avrebbero dovuto portare mille anni di democrazia e prosperità al Nord Africa, siano nate e si siano sviluppate attraverso la rete e Facebook. Inoltre, dopo queste riformattazioni grafiche, e potrebbe non sembrare un caso, il noto social network è precipitato nelle quotazioni in Borsa. Molti nodi sono ancora da sbrigliare, e sarà compito della nostra ricerca scioglierli uno per uno. [...]

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NOTE

[1] G. Bausano et al., Per Lenin. Materialismo storico e politica rivoluzionaria, Gwynplaine, 2011.

[2] L. Meneghello, Pomo pero, BUR, 1974.
[3] Bausano et al., 2011.
[4] Devo ammettere che ho un debole per l'esistenzialismo.

domenica 5 agosto 2012

Morti di X

MIMMORTI: Pronuncia /mi'm:ɔɹti/. Esclamazione veneziana. Etimologia, lat.: morti mei. Varianti: SAMMORTI, TAMMORTI. Può esprimere sorpresa (cf. ex. 1), rabbia (cf. ex. 2), costernazione (cf. ex. 3). L'abuso del termine può portar l'utilizzo a realtà ad esso estranee (cf. ex. 4).

ex. 1     "M., che toco de figa!"

ex. 2      "Ma ti ghe la moli? M.!"

ex. 3     [Riferendosi ad uno spritz] "Sono cinque e cinquanta." "M.!"

ex. 4      "M., che da ridere!"

Interessante la somiglianza con l'espressione romana LI MORTACCI TUA [abbr. LI MORTA'].

L'origine è pressoché incerta. Una leggenda narra che il primo ad usare questa esclamazione sia stato un famoso sicario della Venezia settecentesca, tale Toni l'Ammazzatore, al secolo  Bebifeis Toni. D'origine friulana, come suggerisce il nome, l'Ammazzatore era noto in tutta le isole della laguna per l'efferatezza dei suoi lavoretti, come li chiamava. 
Si racconta che una sera si trovasse presso l'osteria di Aldo, agli Ormesini, dopo aver svolto un compito per la famiglia Corner. Successe che dopo la terza birra Coop, della Cooperativa Adriatica prodotta, così si diceva, nei birrifici del bellunese, s'incazzò di brutto con un numida che voleva rivendergli un ombrellino tascabile [1]. Pioveva. In quel momento Bebifeis Toni, detto l'Ammazzatore, alzò lo sguardo, guardò dritto negli occhi il numida e gli disse: – Va' for dai cogioni, o te conzo confà i mimmorti! 
Il numida non disse altro, e s'incamminò per le calli umide.
La storia fece il giro di tutti baccheri e di tutti i campi, finché arrivò alle orecchie del Patriarca, che, successivamente, esportò la locuzione fino alla città der Papa.


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NOTE

[1] La presenza di tali individui dotati di conoscenze arcane, come il saper trasformare un mazzo di rose in una manciata di ombrelli con l'acqua piovana, è documentata dai tempi della Controriforma. Tra i documenti del Sant'Uffizio troviamo una sentenza datata 1558 che condannò un gruppo di tali stregoni negri come lo Demonio (cfr. AAVV, Documenti dell'Inquisizione veneta, Montatori, Milano, 2003) alla fustigazione per toller fuora lo male che fluvia nello corpo e nell'alma loro (cfr. op. cit.).

lunedì 16 gennaio 2012

Cazzo vuole il signor K.

Questa è la storia di un ragazzo di 21 anni che ha scritto questa storia a 16 anni nel quaderno che usava per prendere appunti a scuola e ha fatto una scommessa che sarebbe riuscito a pubblicarlo in un'antologia Einaudi. Non ce l'ha fatta.
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Niente osterie. Non se ne fa nulla in centro di arrancidite salette ombrose. È un problema. problema insomma... una rottura. 'No sgranfo. Tocca trovare un posto dove lasciar marcire il tempo morto. A noi provincialotti van bene i bavaresi in piazza. Che poi bavaresi è da ridere, visto che se li son fatti su due fighetti di Padova. È di quei localoni da cena studenti-proff.: quelle dove dopo cinque anni di serietà ci si sputtana l'un l'altro con bevute da cagno.
Ma il fatto è che quei posti son sempre strapieni di imbrillantinati glitterini da culo. Figliocci di papà che la domenica si sparano la loro partitina del cuore, mentre la loro cittadina è da una vita ch'è in serie C. Comunque è là che si va a buttarsi via, io e il mio compare. Sette euro è il prezzo di un'ora e mezza di birra – un'ora di birra equivale a circa mezzo litro, due ore a uno intero; per le patatine sono due euro a cranio. C'è tutta un'aria da Oktoberfest che dal pavimento potrebbero saltarti fuori dei ciccioni sbarbati con tromboni e fisarmoniche. Peccato che i camerieri sfilino per gli stanzoni con metri di pizza, polletti e amburgheroni: tutto questo non ha senso.
Quando entriamo ci accoglie la solita cavallona. Magra impiccata, col manto grinzoso. Stavolta non ci guarda neanche in faccia, perché tanto riconosce dalle voci che siamo noi. O dai discorsi. Il mio compare le chiede se c'è posto da vedere la partita.
Giù, andate giù.
Temo abbia i suoi ferri addosso, come suo uso. Sarà che ha degli zoccoli che si consumano velocemente e allora gli stivali col tacco non le fanno toccar troppo terra. È una mia teoria. Non verificabile. Ho paura di no. Fatto sta che scendiamo al piano di sotto, che è uguale al piano di sopra, ma di sotto. All'arrivo ci becchiamo il capoccia del posto seduto allo sgabellino del PC. Ci squadra da capo a piedi.
Avete posto per la partita?
... venite.
Scazzato. Noi lo seguiamo. Da dietro gli vedo bene il codino biondo che ciondola su e giù. Il culetto palestrato. Le scarpe eleganti. La camicia azzurra come si conviene ad un uomo in carriera. L'attacco della barbetta da giovane promettente. Le spalle che dicono che lì è lui a comandare. Ah! gli manca solo la pistola nei pantaloni. Cazzone di prima. Ci mette davanti a una bionda dell'est. Già vista. I capelli incocconati le danno un'aria più ingenua del solito, ma è il naso deciso e la bocca del colore del raboso che decidono tutto. Di certo la bionda più gnocca del locale. L'altro sparisce. Lei ci guarda col suo sorriso da contratto a tempo determinato. Ci fa strada e ci trova un posto sgozzo vicino al cesso. Se ne va facendo a cambio con due listini, anche se ci servono a poco. Intanto Giò si apre una busta di grissini.
– Ah! duri come la pietra, come sempre. Avranno cent'anni cazzo!
– Lo sai che vanno al risparmio con queste cose.
– Sì ma io pago insomma. Vorrei un servizio migliore!
– Sta' buono. Fan così, con tutti quelli che si devono comprare, gli tocca riciclarne.
– Se vado avanti in sto modo, va a finire che mi resta in mano un altro dente!
– Ma sei una fregna Giò!
– Ma vaffanculo! Spero che per la loro tirchieria vadano in fallimento, o si facciano un cazzutossimo male! Guarda!
Batte sul tavolo il grissino. Manco si spezza. A momenti buca il legno.
– Con questo potrei uccidere uno...
Siamo al pre-partita. Nulla da raccontare qui. Insomma sappiamo com'è. Tutti allenati. Preparati. Caricati. Si spera che la partita andrà per il meglio – come se potesse andare bene a entrambi. Gli allenatori augurano buona fortuna al migliore – ma che cazzo dicono? Son soldi, soldi fottuti se perdono! A chi interessa giocare bene? Si sa benissimo che vorrebbero saltarsi al collo. Si ammazzerebbero le rispettive famiglie fosse necessario. L'uno si scoperebbe la figlia dell'altro. Poi andrebbe a vendere gli organi al primo che passa. Eppure sono personaggi pubblici. Gli idoli dei più giovani. Devono dare il buono esempio. Si sa che calciatori e allenatori sono esempi da seguire. Hanno tutte le carte in regola per insegnare il giusto vivere. Il loro scopo è favorire la diffusione della coscienza e della cultura ad ognuno nella società. Non fosse per loro ci trov...
Avete deciso, ragazzi?
«Che?!»
Sì, un boccale da litro di Paulaner...
«Macché?! Ah sì sì devo ordinare, eh... cazzo... eh che faccio di solito?»
Eh sì e per me un litro di Weissen.
Qualcos'altro?
Ah e una porzione di patate fritte.
Ci volete delle salse?
Be' sì, salsa rosa... E avete del ketchup?
Annuisce.
Questi allora li porto via... – prende i coperti – quelli potete tenerli,» intende i grissini.
Se ne va.
Figurarsi se rivoleva i grissini! impreca Giò.
Ma quella era...
Mi sa che comunque non ci si fila qui. Dico che valutando la prestanza del tutto e valutati i precedenti le soluzioni non sono delle migliori. In realtà è un peccato perché... ma mi stai ascoltando?
Scusa scusa, solo che...
Cos'hai?
No ma quella l'hai mai vista prima?
Quella chi?
Ammicco.
Ma se è sempre qui!
Come?
Ma sì! lavora qui da una vita! Mai vista?
Sarò sempre stato troppo ubriaco.
Motivo in più per averla già vista, no?
Ma fottiti, lo sai che non sono il tipo.
Ah no! tu sei il tipo che non parla alle fie per godere delle speranze.
Co' sta storia, ancora!
Sì sì!
Vabbè, come vuoi tu. Solo che non l'avevo mai vista. Chissà che fa per nome.
Chiediglielo.
Ma non posso!
Torniamo a due battute fa?
Sposto lo sguardo sul tavolo. Mi vedo lo scontrino che la cameriera ha lasciato.
Ah! qui c'è un nome: sarà il suo!
Tu stai male.
Lo chiamano senso pratico.
Sì, degli stalker.
Ma fatti i cazzi tuoi!
T'ho davanti, non posso.
Eh guardati la tua squadra allora!
Giò si volta allo schermo.
Insomma questa lavora qui. Con la sua voce e il suo corpo. Coi capelli neri legati dietro. Con la camminata decisa. Con la divisa da lavoro e la traversa annodata. Il palmare per gli ordini. Gli occhi fondi in attesa. Gli orecchini asimmetrici. E da dove salta fuori? Da dov'è partita sta storia? Possibile che a uno tocchi sbattere il muso su un muro per rinsavirsi? Sarà che tutto è dentro tutto. Il mio muso è dentro questo muro. Ché tutto s'alterna su e giù senza meta come bagno freddo che ti fa bene, ma che detesti.
Ma che cazzo fai arbitro?!
Sento urlare da st'altra parte. Pareva che al difesa si masturbasse intanto che un attacante spariva dal campo. Poi era fuorigioco.
Vedi – riattacca Giò – te lo insegnano a calcio praticamente la difesa se ne sta avanti, sempre più. Si trova il suo posto. Se dal centrocampo la palla va dove dovrebbe andare, in realtà è troppo avanti e nessuno può sperare nel gol.
Quindi più porti avanti la difesa e più la partita sta in stallo.
Sì più o meno è così, chiaramente t'aiuta se stai vincendo, o per salvarti sull'ultimo.
Arriva un cameriere indiano con le due birre e poco dopo un altro palestrato con le patate.
Buona cena ragazzi!
Coglione. Io ceno con quattro patate fritte in croce?
Che ti prende?
Arrossisco: Lascia stare.
Brindiamo a quella che finisce per no (la figa, no?) e mi sgàrgaro la Weissen con violenza. È una figata! Se ti fai mancare l'aria per un po' mentre bevi, ti arriva lo svarione. È una partenza, ma sto rilassato.
Che hai da guardarti in giro?
Che?
Non tieni gli occhi fermi un secondo...
Cazzo vuoi?
Cazzo vuoi te?! Sembra che debba succederti qualcosa da un momento all'altro. Ti prude l'uccello?
In effetti sì. Mi prude da bestia.
Va' in mona!
La cameriera attende l'ordinazione quattro tavoli in là, posando la matita sul mento.
Ah, ho capito! – mi palesa Giò, rigirandosi da dietro – ti piace proprio quella, eh?
Senti, fatti i cazzi tuoi.
Scoppia in risa: Ma proprio no! La partita fa troppo schifo stasera, ho davanti uno spettacolo migliore.
Non mi vedo da fuori, ma posso intuire la mia faccia intermittente bianco/rossa.
Sì occhei, mi piace.
Ora sì che parli potabile!
È solo un trip mio, mi passerà quando saremo a casa.
S'avvicina il bestio di prima, quello che c'ha accompagnato alla bionda slava. La cameriera non s'accorge. La prende da dietro. Le mani morbide da borghese sulla vita. Il tizio le molla un bacio sulla guancia, e lei schiva. Sorride. Sparisce. Sparisce l'altro.
– Dunque se la scopa...
Per l'ennesima volta ti fai i cazzi tuoi?
Stai tranquillo bello! È solo un figlio di papà, lo fa per divertirsi...
Dovrebbe fregarmene qualcosa di loro due?
Dovrebbe?
Ma sta' zitto!

La serata poi passa tranquilla. La squadra ha vinto, per la gioia di Giò. Ce ne andiamo di sopra a pagare.
Salite le scale incontriamo la cameriera di prima. Con sguardo truce: Ah, state andando...
Si gira e torna su.
Seguiamo intimiditi e raggiungiamo la cassa.
Avete quattordici euro ragazzi…
Giò mi fa gesti tipo: «Dai, parlaci Provaci cazzo!».
Io gli tiro un'occhiata tipo: «Sì adesso, adesso... aspetta che pago!».
Ecco… – faccio – eh… mi chiedevo… sei qui spesso?
Facepalm.
– No dicevo… eh… a lavorare.
Pokerface.
– No perché… pensavo insomma… se si poteva uscire una sera di queste… sì sei carina eh… conosco una birreria tipo bavarese in centro…
Dio caneee! (Questa è una meme che ho appena inventato. Tipo immaginatevi quel quadrone con il Padreterno barbuto che dà il dito ad Adamo. Eh, però con la faccia da cane).
– Vabbè, come non detto, eh? Buon lavoro!
E mi sparo all'uscita.
– Un attimo! – sento dire da dietro.
Dai che andata! Dai ch'è andata cazzo!
Mi volto.
C'è il capoccia con la tipa: – Che succede qui?
– No niente capo! – tranquillizza nervosamente Giò – Si stava andando…
– Venite con me – sentenzia quello.
«Sono fottuto», mi dico in testa con spiccato accento veneto.
Seguiamo il signor Culetto-Spallacce fino a una porta, schivando camerieri a ripetizione. Entriamo. Stanza grigia. Illuminata a neon. Un tavolo e tre sedie.
– Accomodatevi. Scusate il disordine.
Quale disordine? chiede Giò.
Quello che faremo ci risponde.
Giò e io poggiamo lentamente i culi alle sedie. L'altro s'è seduto in maniera informale a cavalcioni sulla sua.
Vi chiederete perché vi ho portati qui…
Beh sì non è che…
Taci zecca! – meglio stia zitto – Dicevo, vi chiederete perché vi ho portati qui. – ma sì cazzo, sì! – Beh, vedete, noi abbiamo una ferrea politica qui dentro. Ci atteniamo a delle norme inflessibili. Tali norme sono: si entra, si ordina, si consuma, si paga, si va fuori dalle palle. I corollari vengono da soli: non si fa casino, non si rompe nulla, NON ci si prova con le cameriere…
Beh capo, ci spiace, ma non l'abbiamo letto da nessuna parte…
Senti zecca, sai chi sono io?
Oddio, ho una vaga idea…
Sono il signor K. Qui tutto è di mia proprietà. Le posate, i piatti, il cibo, perfino la merda che fate nel cesso, una volta toccata la tazza è mia.
Scusi però signor K., non riusciamo a capire dove vuole andare a parare… puntualizza Giò.
Voglio andare a parare che qualsiasi fottuta cosa vivente o meno che fa parte dell’arredo e della funzionalità di questa cazzo di birreria di merda è di mia esclusiva proprietà!
Davanti a noi 'sto tizio sta diventando rosso come il male.
Momento, momento, momento, momeeeeento… – gli faccio – Cioè. Lei sta dicendo che ha il totale usufrutto di tutte le cameriere del locale?
Precisamente…
E dei camerieri, cosa ne… Ah, cazzo.
Un sorriso berlusconiano si forma lentamente sulla faccia del tizio.
Vedo che siete arrivati al punto, miei cari…
Ossignore…
Voi volevate fottervi le mie cameriere, ora io fotto voi. Mi sembra equo, no?
Occhi vuoti. I nostri. Che cazzo è 'sta cosa? Cioè. No aspetta. Ah, sì. Stanno entrando dei gorilloni in camicia a mezze maniche. Portano delle corde, delle corde sì… Ci stanno legando. Sta accadendo veramente…
– Scusi signor K., però noi la cameriera. Insomma. Mica ce la siamo fatta alla fine... Non sarebbe proprio equo! – replica Giò.
– Si tratta di un dettaglio che possiamo trascurare.
Ma, signor K., perdoni eh… – cerco di parlare io, intanto che dietro a Giò i gorilla preparano la vasella – ma questa… questa scena, non l'abbiamo già vista in un film?
Vedo che al nostro Marcellus Wallace non sfugge nulla! – ed esplode in una risata come una bomba a Nagasaki –Magari puoi essere tu il primo!
Occhei. Forse un miracolo… ma non ci spero neanche più. Sono già a culo buson sul tavolo. Di fianco a me Giò.
Allora ragazzotti, come al solito? Vi dico chi di questi due piccioncini al buco più allenato…» circostanzia il signor. K., scoppiando in un piratesco ahr-ahr.
Sì è vero. L'ho pensato poco fa. Poco fa mi son detto con spiccato accento che ero fottuto, ma non immaginavo proprio in questo senso. Sì è solo un modo di dire, ma adesso… adesso so bene a cosa si riferisce.
Non vedo nulla, se non la faccia di Giò e il tavolo sul quale son buttato. Tra le risatine dei gorilla sento la cintura sciogliersi, i pantaloni cadere, il borghese incespicare nella nostra direzione.
Ora. Prendete Atom Heart Mother dei Pink Floyd. Arrivate a 13' e 21''. Ecco, questa è la musica che mi vibra nel cranio.
Chiudo gli occhi. Parte il countdown finale: dieci, nove, otto, sette, sei, ci…
Un urlo straziante blocca il mio conto. Dolore, sangue. La sensazione di un corpo estraneo che entra nei tuoi apparati.  Eppure qualcosa non va. Non è la voce di Giò. Ma, non conta nulla. Non faccio a tempo a pensare a un cazzo che mi ritrovo a mani slegate sbattermi fuori dalla stanza degli orrori  e spingermi a calcinculo fino all'uscita del locale, tra gli sguardi attoniti dei clienti del locale che vedono un giovane signor K., scortato da tre gorilla in mezze maniche, strisciare a terra con un occhio sanguinante.
Ma che succede Giò?
Corri cazzo, corri!

Passano una ventina di minuti. Io e Giò siamo seduti sul canale che ci passa davanti casa. Fumo una cicca.
Gli chiedo come sia riuscito a liberarsi: Trucchetti imparati all'estero.
E cosa gli abbia ficcato nell'occhio. Lui fruga in una tasca, e tira fuori un grissino: Te lo dicevo che con uno di questi potevo ammazzare uno.
Beh, per poco…
Sì, per poco…
L'acqua scorre calma accarezzando le chiglie delle barche addormentate. Respiriamo affannosamente. Tutta questa serata pare sia durata sei mesi, ma ora è finita. E non ho altro da dire su questa faccenda.