– Figurarsi
se rivoleva i grissini! – impreca Giò.
Ma quella era...
– Mi sa che comunque non ci si fila qui. Dico che valutando la prestanza del tutto e valutati i precedenti le soluzioni non sono delle migliori. In realtà è un peccato perché... ma mi stai ascoltando?
– Scusa scusa, solo che...
– Cos'hai?
– No ma quella l'hai mai vista prima?
– Quella chi?
Ammicco.
– Ma se è sempre qui!
– Come?
– Ma sì! lavora qui da una vita! Mai vista?
– Sarò sempre stato troppo ubriaco.
– Motivo in più per averla già vista, no?
– Ma fottiti, lo sai che non sono il tipo.
– Ah no! tu sei il tipo che non parla alle fie per godere delle speranze.
– Co' sta storia, ancora!
– Sì sì!
– Vabbè, come vuoi tu. Solo che non l'avevo mai vista. Chissà che fa per nome.
– Chiediglielo.
– Ma non posso!
– Torniamo a due battute fa?
Sposto lo sguardo sul tavolo. Mi vedo lo scontrino che la cameriera ha lasciato.
– Ah! qui c'è un nome: sarà il suo!
– Tu stai male.
– Lo chiamano senso pratico.
– Sì, degli stalker.
– Ma fatti i cazzi tuoi!
– T'ho davanti, non posso.
– Eh guardati la tua squadra allora!
Giò si volta allo schermo.
Insomma questa lavora qui. Con la sua voce e il suo corpo. Coi capelli neri legati dietro. Con la camminata decisa. Con la divisa da lavoro e la traversa annodata. Il palmare per gli ordini. Gli occhi fondi in attesa. Gli orecchini asimmetrici. E da dove salta fuori? Da dov'è partita sta storia? Possibile che a uno tocchi sbattere il muso su un muro per rinsavirsi? Sarà che tutto è dentro tutto. Il mio muso è dentro questo muro. Ché tutto s'alterna su e giù senza meta come bagno freddo che ti fa bene, ma che detesti.
– Ma che cazzo fai arbitro?!
Sento urlare da st'altra parte. Pareva che al difesa si masturbasse intanto che un attacante spariva dal campo. Poi era fuorigioco.
– Vedi – riattacca Giò – te lo insegnano a calcio praticamente la difesa se ne sta avanti, sempre più. Si trova il suo posto. Se dal centrocampo la palla va dove dovrebbe andare, in realtà è troppo avanti e nessuno può sperare nel gol.
– Quindi più porti avanti la difesa e più la partita sta in stallo.
– Sì più o meno è così, chiaramente t'aiuta se stai vincendo, o per salvarti sull'ultimo.
Arriva un cameriere indiano con le due birre e poco dopo un altro palestrato con le patate.
– Buona cena ragazzi!
Coglione. Io ceno con quattro patate fritte in croce?
– Che ti prende?
Arrossisco: –Lascia stare.
Brindiamo a quella che finisce per no (la figa, no?) e mi sgàrgaro la Weissen con violenza. È una figata! Se ti fai mancare l'aria per un po' mentre bevi, ti arriva lo svarione. È una partenza, ma sto rilassato.
– Che hai da guardarti in giro?
– Che?
– Non tieni gli occhi fermi un secondo...
– Cazzo vuoi?
– Cazzo vuoi te?! Sembra che debba succederti qualcosa da un momento all'altro. Ti prude l'uccello?
In effetti sì. Mi prude da bestia.
– Va' in mona!
La cameriera attende l'ordinazione quattro tavoli in là, posando la matita sul mento.
– Ah, ho capito! – mi palesa Giò, rigirandosi da dietro – ti piace proprio quella, eh?
– Senti, fatti i cazzi tuoi.
Scoppia in risa: – Ma proprio no! La partita fa troppo schifo stasera, ho davanti uno spettacolo migliore.
Non mi vedo da fuori, ma posso intuire la mia faccia intermittente bianco/rossa.
– Sì occhei, mi piace.
– Ora sì che parli potabile!
– È solo un trip mio, mi passerà quando saremo a casa.
S'avvicina il bestio di prima, quello che c'ha accompagnato alla bionda slava. La cameriera non s'accorge. La prende da dietro. Le mani morbide da borghese sulla vita. Il tizio le molla un bacio sulla guancia, e lei schiva. Sorride. Sparisce. Sparisce l'altro.
– Dunque se la scopa...
– Per l'ennesima volta ti fai i cazzi tuoi?
– Stai tranquillo bello! È solo un figlio di papà, lo fa per divertirsi...
– Dovrebbe fregarmene qualcosa di loro due?
– Dovrebbe?
– Ma sta' zitto!
La serata poi passa tranquilla. La squadra ha vinto, per la gioia di Giò. Ce ne andiamo di sopra a pagare.
Salite
le scale incontriamo la cameriera di prima. Con sguardo truce: – Ah, state
andando...
Si gira e torna su.
Seguiamo
intimiditi e raggiungiamo la cassa.
– Avete
quattordici euro ragazzi…
Giò mi fa
gesti tipo: «Dai, parlaci Provaci cazzo!».
Io gli tiro un'occhiata
tipo: «Sì adesso, adesso... aspetta che pago!».
– Ecco… –
faccio – eh… mi chiedevo… sei qui spesso?
Facepalm.
– No dicevo… eh…
a lavorare.
Pokerface.
– No perché… pensavo
insomma… se si poteva uscire una sera di queste… sì sei carina eh… conosco una
birreria tipo bavarese in centro…
Dio caneee! (Questa è una meme che ho appena inventato. Tipo immaginatevi quel quadrone con il
Padreterno barbuto che dà il dito ad Adamo. Eh, però con la faccia da cane).
– Vabbè, come
non detto, eh? Buon lavoro!
E mi sparo all'uscita.
– Un attimo! –
sento dire da dietro.
Dai che
andata! Dai ch'è andata cazzo!
Mi volto.
C'è il
capoccia con la tipa: – Che succede qui?
– No niente
capo! – tranquillizza nervosamente Giò – Si stava andando…
– Venite con
me – sentenzia quello.
«Sono fottuto»,
mi dico in testa con spiccato accento veneto.
Seguiamo il
signor Culetto-Spallacce fino a una porta, schivando camerieri a ripetizione. Entriamo.
Stanza grigia. Illuminata a neon. Un tavolo e tre sedie.
– Accomodatevi.
Scusate il disordine.
– Quale
disordine? – chiede Giò.
– Quello che
faremo – ci risponde.
Giò e io
poggiamo lentamente i culi alle sedie. L'altro s'è seduto in maniera
informale a cavalcioni sulla sua.
– Vi chiederete
perché vi ho portati qui…
– Beh sì non è
che…
– Taci zecca! –
meglio stia zitto – Dicevo, vi chiederete perché vi ho portati qui. – ma sì
cazzo, sì! – Beh, vedete, noi abbiamo una ferrea politica qui dentro. Ci
atteniamo a delle norme inflessibili. Tali norme sono: si entra, si ordina, si
consuma, si paga, si va fuori dalle palle. I corollari vengono da soli: non si
fa casino, non si rompe nulla, NON ci si prova con le cameriere…
– Beh capo, ci
spiace, ma non l'abbiamo letto da nessuna parte…
– Senti zecca,
sai chi sono io?
– Oddio, ho una
vaga idea…
– Sono il
signor K. Qui tutto è di mia proprietà. Le posate, i piatti, il cibo, perfino
la merda che fate nel cesso, una volta toccata la tazza è mia.
– Scusi però
signor K., non riusciamo a capire dove vuole andare a parare… – puntualizza Giò.
–Voglio andare
a parare che qualsiasi fottuta cosa vivente o meno che fa parte dell’arredo e
della funzionalità di questa cazzo di birreria di merda è di mia esclusiva
proprietà!
Davanti a noi 'sto
tizio sta diventando rosso come il male.
– Momento,
momento, momento, momeeeeento… – gli faccio – Cioè. Lei sta dicendo che ha il
totale usufrutto di tutte le cameriere del locale?
– Precisamente…
– E dei
camerieri, cosa ne… Ah, cazzo.
Un sorriso
berlusconiano si forma lentamente sulla faccia del tizio.
– Vedo che
siete arrivati al punto, miei cari…
Ossignore…
– Voi volevate
fottervi le mie cameriere, ora io fotto voi. Mi sembra equo, no?
Occhi vuoti. I
nostri. Che cazzo è 'sta cosa? Cioè. No aspetta. Ah, sì. Stanno entrando dei
gorilloni in camicia a mezze maniche. Portano delle corde, delle corde sì… Ci
stanno legando. Sta accadendo veramente…
– Scusi signor K., però noi la cameriera. Insomma. Mica ce la siamo fatta alla fine... Non sarebbe proprio equo! – replica Giò.
– Si tratta di un dettaglio che possiamo trascurare.
– Ma, signor K.,
perdoni eh… – cerco di parlare io, intanto che dietro a Giò i gorilla
preparano la vasella – ma questa… questa scena, non l'abbiamo già vista in un film?
– Vedo che al
nostro Marcellus Wallace non sfugge nulla! – ed esplode in una risata come una
bomba a Nagasaki –Magari puoi essere tu il primo!
Occhei. Forse
un miracolo… ma non ci spero neanche più. Sono già a culo buson sul tavolo. Di fianco a me Giò.
– Allora
ragazzotti, come al solito? Vi dico chi di questi due piccioncini al buco più
allenato…» circostanzia il signor. K., scoppiando in un piratesco ahr-ahr.
Sì è vero. L'ho
pensato poco fa. Poco fa mi son detto con spiccato accento che ero fottuto, ma non immaginavo proprio
in questo senso. Sì è solo un modo di dire, ma adesso… adesso so bene a cosa si riferisce.
Non vedo
nulla, se non la faccia di Giò e il tavolo sul quale son buttato. Tra le
risatine dei gorilla sento la cintura sciogliersi, i pantaloni cadere, il
borghese incespicare nella nostra direzione.
Ora. Prendete Atom Heart Mother dei Pink Floyd. Arrivate a 13' e 21''. Ecco, questa è la musica che mi vibra nel cranio.
Chiudo gli
occhi. Parte il countdown finale:
dieci, nove, otto, sette, sei, ci…
Un urlo
straziante blocca il mio conto. Dolore, sangue. La sensazione di un corpo
estraneo che entra nei tuoi apparati. Eppure qualcosa non va. Non è la voce di Giò. Ma, non conta nulla. Non faccio a tempo a pensare a un cazzo che mi
ritrovo a mani slegate sbattermi fuori dalla stanza degli orrori e spingermi a calcinculo fino all'uscita
del locale, tra gli sguardi attoniti dei clienti del locale che vedono un
giovane signor K., scortato da tre gorilla in mezze maniche, strisciare a terra
con un occhio sanguinante.
– Ma che
succede Giò?
– Corri cazzo,
corri!
Passano una ventina
di minuti. Io e Giò siamo seduti sul canale che ci passa davanti casa. Fumo una cicca.
Gli chiedo
come sia riuscito a liberarsi: – Trucchetti imparati all'estero.
E cosa gli
abbia ficcato nell'occhio. Lui fruga in una tasca, e tira fuori un grissino: – Te
lo dicevo che con uno di questi potevo ammazzare uno.
– Beh, per poco…
– Sì, per poco…
L'acqua scorre
calma accarezzando le chiglie delle barche addormentate. Respiriamo
affannosamente. Tutta questa serata pare sia durata sei mesi, ma ora è finita. E
non ho altro da dire su questa faccenda.