lunedì 20 agosto 2012

Mi hanno bucato la testa e non sono morto

Sono in sala d'attesa. Le mie culatte sono ben piantate su una seggiola nera di plasticazza, fondamentale per raggiungere il massimo risultato con la minima spesa. La schiena s’appoggia e percepisce ovattamente la superficie rugosa del pioggiaschena. Ovattamente. Indosso una maglietta grigia Reebok e una camicia definita dai miei amici adatta per lavorare nel Kent. Me ne frego.
Sono nello Studio medici associati Pyros. Il fuoco ha proprietà mediche secondo la medicina antica. Auguri. Sulla porta del mio medico curante c’è un foglio attaccato collo scotch. 
Gli uomini chiedono la salute agli dèi con le preghiere,
ma non sanno di avere in se stessi la capacità di essere sani.
Democrito
«Che ci stai a fare allora?», mi viene da pensare. Io sostengo l’idea che il fatto che esista la medicina sia già per i medici una sconfitta. Stessa cosa penso dei sindacati e della politica. Della giustizia meno, gli avvocati son macchine da soldi e tali restano.
Tengo il collo dritto a causa della mia botta cervicale. Fianco a me sta un cinquantenne ingobbito sul tavolino. Legge, o meglio guarda, una rivista a caso. Io mi sono portato l'imprestatomi Cane mangia cane di Eddie B., ma non voglio leggere. Sicuramente ho troppo poco tempo, poi dovrei portarmelo dentro e appoggiarlo alla scrivania di doc. Democrito. Per rilassarmi mi chiederebbe di chi è, di che parla, di cosa mi piace, e sono già abbastanza rilassato da diventare uno zerbino, non voglio passare al livello aminoacido. Il libro me lo sono comunque portato, sì, ma è rimasto in macchina.
Tamburello sulle cosce. Il silenzio impera in questo deprimente edificio annizzero. Mi canto in testa una canzone. Una canzone qualsiasi. La luce è spenta. Sono solo le cinque e venticinque, ma fuori il tempo minaccia tempesta dalla mattina. Il cielo grigio drum farebbe deprimere persino uno scout, e se quei pochi sputi di luce vengono anche filtrati da tendine bucherellate, be' è la morte dei sensi.
S'apre la porta di scatto. Doc. Democrito esce la testa con fare indaffarato. Mi fa cenno di entrare. Io mi alzo di scatto, incurante della mia dorsale (massì, chissene). In realtà sto di merda, anche se la cervicale c'entra fino a una certa. Ma la nausea e lo strippo quando si cammina non m'aiutano.
– Ti vedo bene! – sentenzia Doc col suo angosciante accento greco.
– Una meraviglia! – gli rispondo da coglione.
– Sei pronto?
– Sono qui per questo... – e qui mi mancava una cicca in bocca con espiro.
Doc mi guarda con aria di sfida. Io lo imbruttisco. Poi si volta a prendere diverse scatole. Scatole piccole di cartoncino sottile, bianche con scritte verdi. Comincia a tirar fuori delle fiale, un po' alla volta, e le distribuisce in fila sul tavolo. Chiaramente non in ordine di grandezza.
– Ti saranno iniettate diverse soluzioni nei punti di agopuntura – mi spiega con tono medico.
– Sono antidolorifici?
– Antispastici, antinausea... antitutto insomma. Un cocktail di rimiedi. 
L'unica cosa che riesco a pensare e che preferirei una sola iniezione di un qualsiasi antidepressivo, ma dubito sia compresa nel pacchetto. Doc si volta una seconda volta per frugare in un cassetto. Cassetto è un eufemismo, una scatola di plasticone IKEA infilata in un mobiletto. Da lì tira fuori un'orribile bustina. La apre. Due guanti piegati, dov'è ben intesa la differenza tra destra e sinistra, si mostrano in tutta la loro inespressività. Intanto una seconda bustina compare sulla scrivania. È una siringa. 
– Non preoccuparti, non sarà quest'ago – mi rassicura ridacchiando.
Il buho è buho. Penso da maledetto pisano.
Cambiato l'ago, comincia il divertimento. Le boccette si spezzano una a una mentre, sempre da medico, doc. Democrito impila il contenuto dentro la siringa.
– Ora togliti le scarpe, e i calzini, e stenditi sul lettino…
Lo guardo con aria idiota finché lui mi dice che: – Sì, sembra strano, ma va così.
Vabbe'.
Eseguo gli ordini mentre Doc, con occhi che potrei dire di macabra cupidigia, si accinge a infilzarmi il tallone. Poi l'altro.
Da me nessuna reazione, tranne nella mia testa, la quale è intenta e bastonare un maiale urlante.
– Bene, ora togliti la maglietta e mettiti a pancia in giù.
Obbedisco.
– È meglio se ti sleghi i capelli, poi li puoi legare di nuovo.
Già.
La siringa prende una direzione strana, seppur non posso vederla. Mi si va a infilare dritta in mezzo al collo. Un buco enorme nel centro. Roba alla Matrix: sono dentro.

– Bene Maggi, – mi dicono dall’auricolare – raggiungi l'edificio in fondo alla via. Dovresti trovarlo lì dentro.
Metto giù.
La strada è silenziosa, non passa un cane. Sento distintamente le pieghe dei pantaloni che si strusciano una coll'altra ad ogni passo. Secchi. Regolari.
Ogni tanto, quando passo di fronte a una vetrina, mi ci specchio per vedere se sto a posto.
Capelli tirati indietro con un chilo di brillantina. Pizzetto ben curato. Spolverino lungo nero. Pantaloni neri. Un paio di scarpe eleganti nere. Occhiali da sole neri. E in tasca un euro e ottanta centesimi. Sì, sono il più duro di tutti figli di puttana della Matrice.
Afferro la maniglia del portone e spingo. Non s'apre. C'è scritto tirare. Tiro. S'apre.
Un insulso corridoio. Di fronte una porta a vetri dà su un giardinetto zen interno. A destra una rampa di scale.
– Dovrebbe essere all'ultimo piano…
– Occhei, grazie Doc», rispondo di rimando.
Prendo le scale. La situazione è tranquilla. Non corro e mi perdo ad ascoltare i tacchi delle scarpe rimbombare sul marmo dei gradini. Passo il primo piano, il secondo, il terzo.
– Ehi!
– Cosa?
– Nono sono sicuro, sto leggendo una presenza estranea nell'edificio…
– C'è qualcun altro qui?!
– È solo un’interferenza, non so dirti bene ora…
– Può essere uno stronzo qualunque, no?
– Eh beh… sì.
– Eh beh cosa?
– Ecco, non è del tutto chiaro ma… non sembra una persona. 
– Eccheccazzo è? 
– Beh, lo vedrai… ora.
Alzo lo sguardo. Davanti a me. Il coglione che m'ha sfasciato l'auto la settimana prima. Il borghese che m'ha tamponato al semaforo e m'ha regalato una cervicale nuova. Il maledetto tizio con la BMW bianca che m'ha fatto venir fin qui.
Eppure non sembra lui, il suo sguardo sembra dipinto con sangue e sperma. Ha un ghigno troppo malvagio per essere un semplice cazzone della strada.
Tempo due secondi: mi caccia la lama.
«Porcoddio!» 
– Corri Maggi, corri!

Mi fiondo su per le scale.
– Ma che cazzo aspettavi a dirmelo?
– È comparso dal niente, non ne sapevo niente cazzo!
Faccio tutte le cose che mi hanno insegnato i film. Corro sui muri. Salto da una rampa all'altra. Ogni tanto mi fermo e PAM! gli sgancio un calcio sul muso, ma appena appena perde l’equilibrio.
– Dammi un'uscita Doc, porcaputtana!
– Ma prima devi prendere…
– Fanculo! Col cazzo che mi faccio ammazzare da questo coglione!
– Occhei, occhei… Un attimo…
– Ma un attimo cosa?!
– Non sono la fatina dei denti, occhei!
Sono troppo incazzato per continuare.
Passo il quinto piano.
Sesto.
Settimo.
Ottavo.
– Ecco Maggi. Vai al decimo. A destra trovi uno stanzone… L'uscita è lì.
Nono.
Decimo.
La porta a destra.
L'altro in culo.
Afferro la maniglia e spingo. 
Non s'apre. 
C'è scritto tirare.
Tiro. 
S'apre.
Mi sbatto sul telefono appoggiato su una scrivania.
Suona sì, suona cazzo!
Lo afferro.
Mi afferra. Lo stronzo m'ha preso!
Ci dimeniamo. Botte da orbi. Botte da Norris. Botte da Lee.
Siamo al di là della scrivania. Dietro di me, un finestrone, e giù quel cazzo di giardino zen di merda.
– Sai che sei tu? Sei un grandissimo figlio di puttanaaahahaa!
Alla terza modulazione il finestrone si sfascia.
All'aria.

– Bene, fatto.
Mi giro, e guardo il dottore.
– Rivestiti pure, ci vediamo… lunedì? Chiamami verso le cinque.
– Eh… occhei Doc. I soldi?
– Facciamo tutto alla fine. Buona serata!

Me ne vado. In sala d'attesa c'è ancora il tizio che sfoglia la rivista.
A me m'hanno bucato la testa e non son morto.

giovedì 9 agosto 2012

[Not found]

Musica a bassa pressione.
Il disco non gira
e la puntina 
non scalfisce
nessuna vibrazione.

lunedì 6 agosto 2012

Il sistema zuckerberghiano e sue implicazioni

Estratto da un idea di saggio collettivo mai pubblicato: AA. VV., Appunti per un dibattito di idealistica comparata.
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Dopo la grande svolta della timeline che, coerentemente alla filosofia idealistica, colloca gli eventi nel loro sviluppo temporale e non, com'era precedentemente, in semplici entità assolute dallo stesso, in Facebook viene introdotta la possibilità di modificare post e commenti. È così concepita l'idea che nulla che si manifesta nell'esperienza sensibile è eterno ed immutabile, bensì è il risultato di un processo che trova nel continuo rinnovarsi la propria essenza.
Esiste una spiegazione al riguardo? Una ragione per la quale il sig. Zuckerberg abbia invertito la rotta del suo sistema filosofico? Azzardare delle ipotesi è possibile.

Tanto per capirci. La visione escatologica del mondo, la quale prefigge un fine ultimo per l'uomo e la sua esperienza, e quindi un fine ultimo per l'utente e la sua esperienza sociale virtuale, fu rivalutata e difesa in epoca moderna dal più influente filosofo della fine del secolo XIX: Giorgino Hegel, al secolo Georg Wilhem Friedrich Hegel. Padre-padrone della filosofia idealistica, citata in origine. I principali eredi, come qui tutti sapranno, della scuola hegeliana furono i cosiddetti hegeliani di sinistra, tra i quali spiccò prometeicamente la più famosa barba della storia della filosofia. Il materialismo storico e dialettico, teorizzato appunto da Karl Marx, fu la prima, e per ora l'unica, a quanto pare, idea che seppe raccontare in maniera precisa ed ineccepibile, sebbene in soldoni, la farsa della storia.
Dallo scoppio della ancora galoppante crisi economico-finanziaria gli scritti del filosofo di Treviri stanno vivendo una renaissance. Se di rinascimento, dunque, vogliamo parlare, è necessario che l'oggetto di cui stiamo discutendo abbia vissuto prima un momento di crisi ed oblio. Appunto. Successivamente allo sfacelo del movimento operaio in Europa e all'implosione del blocco sovietico, decine e decine di intellettuali o presunti tali, prima acerrimi apologeti dell'Utopia, si decisero per un'inversione di rotta (come appunto il nostro Zuckerberg). Prendendo in mano il Per Lenin della Bausano e del Quadrelli a pagina 23 leggiamo: 
In tale contesto [quello poc'anzi descritto, n.d.a.] gran parte degli appartenenti al ceto intellettuale repentinamente convertitisi al ragno di "liberi pensatori" hanno modo di scatenarsi. Il proletariato e la classe operaia in quanto soggetti storici sono irrisi mentre gli attacchi al marxismo e la sua confutazione diventano il bersaglio quotidiano di filosofi vecchi e nuovi. [...] Più si è stati "estremisti" nei decenni precedenti, più l'abiura non deve lasciare dubbio. [1]
Intorno si vede sorgere | un mondo di cose nuove, | questa roba si spazza via [2], scriveva Meneghello. Ebbene è spiazzante come questi versi, scritti ben prima del periodo di cui stiamo parlando, racchiudano esattamente lo Zeitgeist di questi anni. Il tempo è venuto. L'occidente, la democrazia, il capitalismo hanno vinto. Chi ha lottato per questo ha avuto la sua ricompensa. Niente più lotta di classe, niente più terrorismo, niente più ideologie. La storia si è conclusa. Che ci resta ancora? Nulla
Eppure questo vuoto, questo no-di-ente, spaventa, no? Che fine faranno allora la politica, la poesia, la filosofia? Come sempre, l'ideologia dominante, si trova la risposta da sola.
Si assiste così alla riscoperta e alla rivalutazione di non pochi filosofi reazionari e fascisti. In particolare Nietzsche e Heidegger e questo non ha nulla di casuale. Soprattutto a essere oggetto di culto è quell'insieme di retoriche e argomentazioni dichiaratamente irrazionaliste che, in Europa, avevano imperversato nel momento in cui il "mondo di ieri" era caduto in frantumi. [3]
Ora, potremmo discutere per ore sul perché la Bausano e il Quadrelli considerino Nietzsche e Heidegger filosofi reazionari e fascisti [4], e anche sul perché non abbiano voluto mettere la virgola prima della subordinata introdotta da e. Ma non è questa la sede. Ciò che interessa è che qui sia caduto l'asino, e che si sia pure ammaccato gli zoccoli.
Quel baffone di Friedrich è famoso per le centinaia di aforismi raccolte più o meno ordinatamente nella sua opera. Diverse sue speculazioni hanno affrontato il tema dell'eterno ritorno, ovvero, in parche parole, l'idea che tutto sia eternamente ciclico e che si ripeta immutato tendenzialmente all'infinito. Da qui, a piè pari, si giunge alla conclusione che ogni momento vale per se stesso, in quanto sconnesso da un proprio sviluppo nel tempo. E questa è proprio la stessa Weltanschauung che permeava la scansione delle pubblicazioni nelle bacheche del social network di cui ci occupavamo, ovvero Facebook (per chi avesse perso il filo del discorso).

Dove siamo giunti, allora? Secondo la nostra speculazione, Facebook sarebbe specchio dello Spirito del tempo o, più in piccolo, del rinnovato interesse per il marxismo. Può esserci del vero. Tutti ricordiamo quanto sia stato ripetuto, più e più volte, dai soliti altermondisti il fatto che le rivolte arabe, sì quelle che avrebbero dovuto portare mille anni di democrazia e prosperità al Nord Africa, siano nate e si siano sviluppate attraverso la rete e Facebook. Inoltre, dopo queste riformattazioni grafiche, e potrebbe non sembrare un caso, il noto social network è precipitato nelle quotazioni in Borsa. Molti nodi sono ancora da sbrigliare, e sarà compito della nostra ricerca scioglierli uno per uno. [...]

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NOTE

[1] G. Bausano et al., Per Lenin. Materialismo storico e politica rivoluzionaria, Gwynplaine, 2011.

[2] L. Meneghello, Pomo pero, BUR, 1974.
[3] Bausano et al., 2011.
[4] Devo ammettere che ho un debole per l'esistenzialismo.

domenica 5 agosto 2012

Morti di X

MIMMORTI: Pronuncia /mi'm:ɔɹti/. Esclamazione veneziana. Etimologia, lat.: morti mei. Varianti: SAMMORTI, TAMMORTI. Può esprimere sorpresa (cf. ex. 1), rabbia (cf. ex. 2), costernazione (cf. ex. 3). L'abuso del termine può portar l'utilizzo a realtà ad esso estranee (cf. ex. 4).

ex. 1     "M., che toco de figa!"

ex. 2      "Ma ti ghe la moli? M.!"

ex. 3     [Riferendosi ad uno spritz] "Sono cinque e cinquanta." "M.!"

ex. 4      "M., che da ridere!"

Interessante la somiglianza con l'espressione romana LI MORTACCI TUA [abbr. LI MORTA'].

L'origine è pressoché incerta. Una leggenda narra che il primo ad usare questa esclamazione sia stato un famoso sicario della Venezia settecentesca, tale Toni l'Ammazzatore, al secolo  Bebifeis Toni. D'origine friulana, come suggerisce il nome, l'Ammazzatore era noto in tutta le isole della laguna per l'efferatezza dei suoi lavoretti, come li chiamava. 
Si racconta che una sera si trovasse presso l'osteria di Aldo, agli Ormesini, dopo aver svolto un compito per la famiglia Corner. Successe che dopo la terza birra Coop, della Cooperativa Adriatica prodotta, così si diceva, nei birrifici del bellunese, s'incazzò di brutto con un numida che voleva rivendergli un ombrellino tascabile [1]. Pioveva. In quel momento Bebifeis Toni, detto l'Ammazzatore, alzò lo sguardo, guardò dritto negli occhi il numida e gli disse: – Va' for dai cogioni, o te conzo confà i mimmorti! 
Il numida non disse altro, e s'incamminò per le calli umide.
La storia fece il giro di tutti baccheri e di tutti i campi, finché arrivò alle orecchie del Patriarca, che, successivamente, esportò la locuzione fino alla città der Papa.


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NOTE

[1] La presenza di tali individui dotati di conoscenze arcane, come il saper trasformare un mazzo di rose in una manciata di ombrelli con l'acqua piovana, è documentata dai tempi della Controriforma. Tra i documenti del Sant'Uffizio troviamo una sentenza datata 1558 che condannò un gruppo di tali stregoni negri come lo Demonio (cfr. AAVV, Documenti dell'Inquisizione veneta, Montatori, Milano, 2003) alla fustigazione per toller fuora lo male che fluvia nello corpo e nell'alma loro (cfr. op. cit.).